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La procedura di valutazione psicologica dell’età del presunto minore, così come delineata nel protocollo multidisciplinare adottato dalla Conferenza Stato-Regioni, presenta gravi criticità metodologiche e concettuali, che meritano una riflessione approfondita.

Confusione tra maturazione psicologica e capacità di testimoniare

Nel protocollo operativo si affida allo psicologo del SSN il compito di valutare il grado di maturazione psicologica del minore per determinarne la compatibilità con l’età dichiarata. Tuttavia, la modalità di questa valutazione è fortemente influenzata dai criteri mutuati dalle Linee Guida Nazionali sull’ascolto del minore testimone e dalla Carta di Noto IV, che sono stati sviluppati in ambito forense per valutare la capacità generica e specifica di testimoniare in soggetti vulnerabili, spesso minori, coinvolti in procedimenti penali per ipotesi di reato quali violenza e maltrattamenti.

La capacità di testimoniare (art.196 cpp), secondo la letteratura scientifica e le fonti normative, riguarda la possibilità per il minore di comprendere, ricordare e riferire fatti di cui è stato testimone, tenendo conto delle sue competenze cognitive, linguistiche e del grado di suggestionabilità. Questi principi servono a garantire che la testimonianza sia acquisita in sede processuale con le massime garanzie e attenzione alle fragilità del soggetto.

Applicare tali criteri alla valutazione della compatibilità tra età dichiarata e maturazione psicologica è metodologicamente scorretto: la psicologia della testimonianza NON è finalizzata alla stima dell’età anagrafica di un individuo, né permette di validare la dichiarazione del minore sulla propria età. La procedura descritta nel protocollo della Conferenza Stato-Regioni risulta dunque una sovrapposizione arbitraria di strumenti e concetti forensi a un contesto completamente differente.

Delegazione impropria al SSN di funzioni forensi

In secondo luogo, il protocollo delega alle équipe multidisciplinari del SSN (pediatra, psicologo, mediatore, assistente sociale) la responsabilità di svolgere valutazioni tipicamente peritali, normalmente riservate all’ambito giudiziario e agli esperti forensi. Ciò comporta il rischio di una confusione tra ruolo clinico-sanitario e ruolo giudiziario, producendo effetti distorsivi nella pratica: il SSN si ritrova (ancora una volta) a compiere accertamenti che hanno valore e conseguenze prettamente forensi, senza le garanzie e l’approccio metodologico richiesto in ambito penale.

Conclusione

In sintesi, il protocollo confonde gli ambiti – sanitario, forense, giudiziario – e adotta metodologie non proprie per la finalità dichiarata di accertamento dell’età, rischiando di produrre valutazioni errate, di scarsa validità scientifica e di dubbia legittimità. Questa impostazione, che delega al SSN funzioni non proprie e utilizza strumenti non pertinenti, può generare gravi conseguenze sia per il minore che per l’intero sistema di accoglienza e tutela.

La valutazione dell’età di un minore straniero non accompagnato non può essere equiparata in alcun modo alla valutazione della sua capacità a testimoniare: occorrono protocolli chiari, specifici e coerenti con l’obiettivo, nel rispetto dei ruoli e delle competenze disciplinari.

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